SANTUARIO DEI SANTI MARTIRI PELLEGRINO E ALBERICO CRESCITELLI


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LA VITA ED IL MARTIRIO

I SANTI > SAN PELLEGRINO

Per quattro secoli, da Nerone a Costantino, Roma cercò in ogni modo di spegnere l'ardore del cristianesimo nel sangue dei suoi credenti, ma non riuscì nemmeno a scalfirne la freschezza del messaggio. Fu, invece, la fede nella parola Divina a conquistare la città regina dell'impero, facendola divenire centro di unità e movente di germi di incivilimento cristiano che trasformarono i popoli.
Il divieto a celebrare i divini misteri costrinse i primi cristiani a rifugiarsi in Chiese sotterranee o nelle Catacombe o in qualche sala di patrizio convertito, ma sempre celatamente.
Verso la fine del II secolo d.C. una sola era la Chiesa che si trovava a Roma. Essa era situata nel palazzo di un illustre e ricco patrizio, Cornelio Pudente e lì si raccoglievano le offerte e le donazioni dei fedeli possidenti per devolverle in soccorso dei bisognosi e dei pellegrini colà ospitati. Imperatore era il giovane Commodo Aureliano e la Chiesa, guidata dal Sommo Pontefice Eleuterio, viveva un periodo di tranquillità già da alcuni anni. Nulla lasciava prevedere che, di lì a poco, un delirio di potere senza limiti pervadesse l'imperatore che, capricciosamente, impose di essere venerato quale nume dell'impero.
Era un impero che viveva l'oscurantismo sia morale che culturale della decadenza.
Lo splendore di Roma aveva cominciato ad offuscarsi già dal II sec. a.C. a causa di una profonda crisi di valori, dovuta alla dilagante corruzione e ai cattivi costumi.
Molte religioni, provenienti dalla Grecia e dall'Asia, si diffusero a Roma in quegli anni.
Esse furono tollerate dalle autorità, perché non minavano l'ordine sociale.
Invece, il Cristianesimo venne osteggiato con decreti e, soprattutto, con la violenza; ciò traeva motivo dal fatto che, in una società nella quale la dignità umana era calpestata ed asservita ai vizi e alle bizzarrie dei potenti, solo i divulgatori del Vangelo levarono alta la loro denuncia contro la corruzione e l'abbrutimento, proponendo in alternativa l'amore e la fratellanza, sottolineando l'effimerità dei beni mondani ed esortando a vivere "in funzione della vita ultra terrena".
Così il nuovo credo andava diffondendosi soprattutto presso le classi subalterne e questo impensieriva non poco i patrizi.
Questo il clima in cui visse il giovane Pellegrino. Nato al Vico Lannario da genitori cristiani di modeste possibilità, sin dall'infanzia fu educato alla fede ed alle virtù evangeliche con l'esempio e le cure diligenti dei genitori.
Ancora adolescente, frequentando la chiesa di Palazzo Pudenziano, dimostrò particolare disposizione per le opere di pietà verso i fratelli bisognosi.
In quella Comunità conobbe il sacerdote Rufino, che divenne suo maestro e padre spirituale. D'indole viva ed ardente ma modesto e irreprensibile nel comportamento, Pellegrino rifuggiva dai desideri mondani e coltivava solo la disciplina e gli insegnamenti familiari e del dotto Rufino.
In lui andava crescendo sempre più la dedizione a propagandare la propria fede, sorreggerla e rinvigorirla nel petto degli afflitti e dei timidi credenti.
Non v'era giorno che Pellegrino non si recasse o a casa di poveri e infermi, o nelle prigioni ove languivano tanti cristiani per portarvi il conforto della parola ed il sostegno della vita;
oppure ai pubblici lavori forzati per asciugare una fronte, una lacrima a tanti vecchi e giovani condannati a penare per essere stati fermi nella fede di Gesù Cristo.
Intanto nuove nubi si addensavano sulla testa dei cristiani.
Infatti, Commodo, dopo aver fatto sostituire la testa della gigantesca statua del Sole eretta da Nerone nel Colosseo con quella della sua immagine, con un editto ordinò che tutti i Romani lo venerassero come una divinità.
Questa ennesima bizzarria provocò malcontento anche tra i benpensanti pagani, ma mise fuorilegge soprattutto i cristiani che non potevano certo rinnegare il loro credo per venerare un borioso prepotente..
Nessun pagano, però, osò ribellarsi apertamente a quel capriccio, nel timore di perdere la vita.
Tra i cristiani, invece, la protesta per il degrado della società e per l'assurdità della pretesa di Commodo si faceva ogni giorno più forte.
A quel punto l'impeto e la passione giovanile di Pellegrino ruppero i freni.
Nel suo stesso quartiere vivevano altri tre ferventi credenti, Vincenzo, Eusebio e Ponziano.
Egli li chiamò a raccolta e li spronò a non indugiare oltre, unendosi a lui nella difesa del vero Dio e nella denuncia delle abominevoli perversioni della società.
Pellegrino trovò terreno fertile presso i tre amici, i quali però prima di avventurarsi in un'impresa tanto pericolosa vollero chiedere consiglio al sacerdote Rufino.
Avuta la sua benedizione, i quattro si portarono per le strade di Roma a gridare l'empietà della pretesa dell'imperatore di voler usurpare ciò che doveva essere solo di Dio e a predicare la purezza del Vangelo.
La predicazione di Pellegrino, Eusebio, Vincenzo e Ponziano, fu un attacco palese alle disposizioni imperiali e tanto coraggio suscitò, tra l'altro, l'attenzione del senatore Giulio.
Questi li convocò e volle conoscere la motivazione che aveva spinto quei quattro giovani ad esporsi anche al rischio della morte.
L'ardore delle loro parole, la serenità dei loro animi e la fermezza di una fede inoppugnabile lo colpirono al punto che manifestò la volontà di poter abbracciare anch'egli la fede cristiana.
Di antica e ricca famiglia patrizia, Giulio era un uomo molto potente ed in vista anche nel Senato di Roma.
Era un uomo saggio e colto e da tempo alla ricerca della verità e del fine dell'esistenza umana, mai trovati nel politeismo.
Finalmente ora, dopo aver sentito quei quattro giovani, si squarciava il velo che gli aveva impedito di vedere e d'un tratto realizzava quella aspirazione tanto ricercata; si sentiva rinnovato e pronto a rinunziare a tutto pur di poter finalmente aspirare alla vita eterna.
Così non esitò quando Pellegrino gli propose di frequentare la Chiesa di Palazzo Pudenziano per essere ulteriormente istruito, prima di poter ricevere il Santo Battesimo, che avrebbe definitivamente segnato la sua nascita alla nuova fede.
Il Santo Sacerdote Rufino accolse a braccia aperte Giulio e ne fece un fervente credente pronto ad immergersi nell'acqua rigeneratrice.
Con il battesimo Giulio entrò a far parte della Chiesa cattolica e, ormai proiettato a conquistarsi la vita eterna, diede la libertà ai suoi schiavi e vendette i propri beni, devolvendo il ricavato ai poveri ed ai bisognosi.
Giulio era un personaggio tanto in vista e potente che un cambiamento così radicale non poté passare inosservato ed infatti le spie dell'imperatore non tardarono ad informarlo in merito.
Subito Commodo convocò il senatore chiedendogli spiegazioni.
Giulio ammise coraggiosamente di essere diventatoVita e Martirio di San Pellegrino
Per quattro secoli, da Nerone a Costantino, Roma cercò in ogni modo di spegnere l'ardore del cristianesimo nel sangue dei suoi credenti, ma non riuscì nemmeno a scalfirne la freschezza del messaggio. Fu, invece, la fede nella parola Divina a conquistare la città regina dell'impero, facendola divenire centro di unità e movente di germi di incivilimento cristiano che trasformarono i
popoli.
Il divieto a celebrare i divini misteri costrinse i primi cristiani a rifugiarsi in Chiese sotterranee o nelle Catacombe o in qualche sala di patrizio convertito, ma sempre celatamente.
Verso la fine del II secolo d.C. una sola era la Chiesa che si trovava a Roma. Essa era situata nel palazzo di un illustre e ricco patrizio, Cornelio Pudente e lì si raccoglievano le offerte e le donazioni dei fedeli possidenti per devolverle in soccorso dei bisognosi e dei pellegrini colà ospitati. Imperatore era il giovane Commodo Aureliano e la Chiesa, guidata dal Sommo Pontefice
Eleuterio, viveva un periodo di tranquillità già da alcuni anni.
Nulla lasciava prevedere che, di lì a poco, un delirio di potere senza limiti pervadesse l'imperatore che, capricciosamente, impose di essere venerato quale nume dell'impero.
Era un impero che viveva l'oscurantismo sia morale che culturale della decadenza.
Lo splendore di Roma aveva cominciato ad offuscarsi già dal II sec. a.C. a causa di una profonda crisi di valori, dovuta alla dilagante corruzione e ai cattivi costumi.
Molte religioni, provenienti dalla Grecia e dall'Asia, si diffusero a Roma in quegli anni.
Esse furono tollerate dalle autorità, perché non minavano l'ordine sociale.
Invece, il Cristianesimo venne osteggiato con decreti e, soprattutto, con la violenza; ciò traeva motivo dal fatto che, in una società nella quale la dignità umana era calpestata ed asservita ai vizi e alle bizzarrie dei potenti, solo i divulgatori del Vangelo levarono alta la loro denuncia contro la corruzione e l'abbrutimento, proponendo in alternativa l'amore e la fratellanza, sottolineando l'effimerità dei beni mondani ed esortando a vivere "in funzione della vita ultra terrena".
Così il nuovo credo andava diffondendosi soprattutto presso le classi subalterne e questo impensieriva non poco i patrizi.
Questo il clima in cui visse il giovane Pellegrino.
Nato al Vico Lannario da genitori cristiani di modeste possibilità, sin dall'infanzia fu educato alla fede ed alle virtù evangeliche con l'esempio e le cure diligenti dei genitori.
Ancora adolescente, frequentando la chiesa di Palazzo Pudenziano, dimostrò particolare disposizione per le opere di pietà verso i fratelli bisognosi.
In quella Comunità conobbe il sacerdote Rufino, che divenne suo maestro e padre spirituale. D'indole viva ed ardente ma modesto e irreprensibile nel comportamento,
Pellegrino rifuggiva dai desideri mondani e coltivava solo la disciplina e gli insegnamenti familiari e del dotto Rufino.
In lui andava crescendo sempre più la dedizione a propagandare la propria fede, sorreggerla e rinvigorirla nel petto degli afflitti e dei timidi credenti.
Non v'era giorno che Pellegrino non si recasse o a casa di poveri e infermi, o nelle prigioni ove languivano tanti cristiani per portarvi il conforto della parola ed il sostegno della vita;
oppure ai pubblici lavori forzati per asciugare una fronte, una lacrima a tanti vecchi e giovani condannati a penare per essere stati fermi nella fede di Gesù Cristo.
Intanto nuove nubi si addensavano sulla testa dei cristiani.
Infatti, Commodo, dopo aver fatto sostituire la testa della gigantesca statua del Sole eretta da Nerone nel Colosseo con quella della sua immagine, con un editto ordinò che tutti i Romani lo venerassero come una divinità.
Questa ennesima bizzarria provocò malcontento anche tra i benpensanti pagani, ma mise fuorilegge soprattutto i cristiani che non potevano certo rinnegare il loro credo per venerare un borioso prepotente..
Nessun pagano, però, osò ribellarsi apertamente a quel capriccio, nel timore di perdere la vita.
Tra i cristiani, invece, la protesta per il degrado della società e per l'assurdità della pretesa di Commodo si faceva ogni giorno più forte.
A quel punto l'impeto e la passione giovanile di Pellegrino ruppero i freni.
Nel suo stesso quartiere vivevano altri tre ferventi credenti, Vincenzo, Eusebio e Ponziano.
Egli li chiamò a raccolta e li spronò a non indugiare oltre, unendosi a lui nella difesa del vero Dio e nella denuncia delle abominevoli perversioni della società.
Pellegrino trovò terreno fertile presso i tre amici, i quali però prima di avventurarsi in un'impresa tanto pericolosa vollero chiedere consiglio al sacerdote Rufino.
Avuta la sua benedizione, i quattro si portarono per le strade di Roma a gridare l'empietà della pretesa dell'imperatore di voler usurpare ciò che doveva essere solo di Dio e a predicare la purezza del Vangelo.
La predicazione di Pellegrino, Eusebio, Vincenzo e Ponziano, fu un attacco palese alle disposizioni imperiali e tanto coraggio suscitò, tra l'altro, l'attenzione delsenatore Giulio.
Questi li convocò e volle conoscere la motivazione che aveva spinto quei quattro giovani ad esporsi anche al rischio della morte.
L'ardore delle loro parole, la serenità dei loro animi e la fermezza di una fede inoppugnabile lo colpirono al punto che manifestò la volontà di poter abbracciare anch'egli la fede cristiana.
Di antica e ricca famiglia patrizia, Giulio era un uomo molto potente ed in vista anche nel Senato di Roma.
Era un uomo saggio e colto e da tempo alla ricerca della verità e del fine dell'esistenza umana, mai trovati nel politeismo.
Finalmente ora, dopo aver sentito quei quattro giovani, si squarciava il velo che gli aveva impedito di vedere e d'un tratto realizzava quella aspirazione tanto ricercata; si sentiva rinnovato e pronto a rinunziare a tutto pur di poter finalmente aspirare alla vita eterna.
Così non esitò quando Pellegrino gli propose di frequentare la Chiesa di Palazzo Pudenziano per essere ulteriormente istruito, prima di poter ricevere il Santo Battesimo, che avrebbe definitivamente segnato la sua nascita alla nuova fede.
Il Santo Sacerdote Rufino accolse a braccia aperte Giulio e ne fece un fervente credente pronto ad immergersi nell'acqua rigeneratrice.
Con il battesimo Giulio entrò a far parte della Chiesa cattolica e, ormai proiettato a conquistarsi la vita eterna, diede la libertà ai suoi schiavi e vendette i propri beni, devolvendo il ricavato ai poveri ed ai bisognosi.
Giulio era un personaggio tanto in vista e potente che un cambiamento così radicale non poté passare inosservato ed infatti le spie dell'imperatore non tardarono ad informarlo in merito. Subito Commodo convocò il senatore chiedendogli spiegazioni.
Giulio ammise coraggiosamente di essere diventato Vita e Martirio di San Pellegrino.
Per quattro secoli, da Nerone a Costantino, Roma cercò in ogni modo di spegnere l'ardore del cristianesimo nel sangue dei suoi credenti, ma non riuscì nemmeno a
scalfirne la freschezza del messaggio.
Fu, invece, la fede nella parola Divina a conquistare la città regina dell'impero, facendola divenire centro di unità e movente di germi di incivilimento cristiano che trasformarono i popoli.
Il divieto a celebrare i divini misteri costrinse i primi cristiani a rifugiarsi in Chiese sotterranee o nelle Catacombe o in qualche sala di patrizio convertito, ma sempre celatamente.
Verso la fine del II secolo d.C. una sola era la Chiesa che si trovava a Roma. Essa era situata nel palazzo di un illustre e ricco patrizio, Cornelio Pudente e lì si raccoglievano le offerte e le donazioni dei fedeli possidenti per devolverle in soccorso dei bisognosi e dei pellegrini colà ospitati. Imperatore era il giovane Commodo Aureliano e la Chiesa, guidata dal Sommo Pontefice
Eleuterio, viveva un periodo di tranquillità già da alcuni anni. Nulla lasciava prevedere che, di lì a poco, un delirio di potere senza limiti pervadesse l'imperatore che, capricciosamente, impose di essere venerato quale nume dell'impero. Era un impero che viveva l'oscurantismo sia morale che culturale della decadenza.
Lo splendore di Roma aveva cominciato ad offuscarsi già dal II sec. a.C. a causa di una profonda crisi di valori, dovuta alla dilagante corruzione e ai cattivi costumi.
Molte religioni, provenienti dalla Grecia e dall'Asia, si diffusero a Roma in quegli anni.
Esse furono tollerate dalle autorità, perché non minavano l'ordine sociale.
Invece, il Cristianesimo venne osteggiato con decreti e, soprattutto, con la violenza; ciò traeva motivo dal fatto che, in una società nella quale la dignità umana era calpestata ed asservita ai vizi e alle bizzarrie dei potenti, solo i divulgatori del Vangelo levarono alta la loro denuncia contro la corruzione e l'abbrutimento, proponendo in alternativa l'amore e la fratellanza, sottolineando l'effimerità dei beni mondani ed esortando a vivere "in funzione della vita ultra terrena".
Così il nuovo credo andava diffondendosi soprattutto presso le classi subalterne e questo impensieriva non poco i patrizi. Questo il clima in cui visse il giovane Pellegrino.
Nato al Vico Lannario da genitori cristiani di modeste possibilità, sin dall'infanzia fu educato alla fede ed alle virtù evangeliche con l'esempio e le cure diligenti dei genitori.
Ancora adolescente, frequentando la chiesa di Palazzo Pudenziano, dimostrò particolare isposizione per le opere di pietà verso i fratelli bisognosi.
In quella Comunità conobbe il sacerdote Rufino, che divenne suo maestro e padre spirituale. D'indole viva ed ardente ma modesto e irreprensibile nel comportamento, Pellegrino rifuggiva dai desideri mondani e coltivava solo la disciplina e gli insegnamenti familiari e del dotto Rufino.
In lui andava crescendo sempre più la dedizione a propagandare la propria fede, sorreggerla e rinvigorirla nel petto degli afflitti e dei timidi credenti. Non v'era giorno che Pellegrino non si recasse o a casa di poveri e infermi, o nelle prigioni ove languivano tanti cristiani per
portarvi il conforto della parola ed il sostegno della vita;
oppure ai pubblici lavori forzati per asciugare una fronte, una lacrima a tanti vecchi e giovani condannati a penare per essere stati fermi nella fede di Gesù Cristo. Intanto nuove nubi si addensavano sulla testa dei cristiani. Infatti, Commodo, dopo aver fatto sostituire la testa della gigantesca statua del Sole eretta da Nerone nel Colosseo con quella della sua immagine, con un editto ordinò che tutti i Romani lo venerassero come una divinità. Questa ennesima bizzarria provocò malcontento anche tra i benpensanti pagani, ma mise fuorilegge soprattutto i cristiani che non potevano certo rinnegare il loro credo per venerare un borioso prepotente.. Nessun pagano, però, osò ribellarsi apertamente a quel capriccio, nel timore di perdere la vita.
Tra i cristiani, invece, la protesta per il degrado della società e per l'assurdità della pretesa di Commodo si faceva ogni giorno più forte. A quel punto l'impeto e la passione giovanile di Pellegrino ruppero i freni.
Nel suo stesso quartiere vivevano altri tre ferventi credenti, Vincenzo, Eusebio e Ponziano.
Egli li chiamò a raccolta e li spronò a non indugiare oltre, unendosi a lui nella difesa del vero Dio e nella denuncia delle abominevoli perversioni della società.
Pellegrino trovò terreno fertile presso i tre amici, i quali però prima di avventurarsi in un'impresa tanto pericolosa vollero chiedere consiglio al sacerdote Rufino.
Avuta la sua benedizione, i quattro si portarono per le strade di Roma a gridare l'empietà della pretesa dell'imperatore di voler usurpare ciò che doveva essere solo di Dio e a predicare la purezza del Vangelo.
La predicazione di Pellegrino, Eusebio, Vincenzo e Ponziano, fu un attacco palese alle disposizioni imperiali e tanto coraggio suscitò, tra l'altro, l'attenzione del senatore Giulio.
Questi li convocò e volle conoscere la motivazione che aveva spinto quei quattro giovani ad esporsi anche al rischio della morte.
L'ardore delle loro parole, la serenità dei loro animi e la fermezza di una fede inoppugnabile lo colpirono al punto che manifestò la volontà di poter abbracciare anch'egli la fede cristiana.
Di antica e ricca famiglia patrizia, Giulio era un uomo molto potente ed in vista anche nel Senato di Roma.
Era un uomo saggio e colto e da tempo alla ricerca della verità e del fine dell'esistenza umana, mai trovati nel politeismo.
Finalmente ora, dopo aver sentito quei quattro giovani, si squarciava il velo che gli aveva impedito di vedere e d'un tratto realizzava quella aspirazione tanto ricercata; si sentiva rinnovato e pronto a rinunziare a tutto pur di poter finalmente aspirare alla vita eterna.
Così non esitò quando Pellegrino gli propose di frequentare la Chiesa di Palazzo Pudenziano per essere ulteriormente istruito, prima di poter ricevere il Santo Battesimo, che avrebbe definitivamente segnato la sua nascita alla nuova fede.
Il Santo Sacerdote Rufino accolse a braccia aperte Giulio e ne fece un fervente credente pronto ad immergersi nell'acqua rigeneratrice.
Con il battesimo Giulio entrò a far parte della Chiesa cattolica e, ormai proiettato a conquistarsi la vita eterna, diede la libertà ai suoi schiavi e vendette i propri beni, devolvendo il ricavato ai poveri ed ai bisognosi.
Giulio era un personaggio tanto in vista e potente che un cambiamento così radicale non poté passare inosservato ed infatti le spie dell'imperatore non tardarono ad informarlo in merito. Subito Commodo convocò il senatore chiedendogli spiegazioni.
Giulio ammise coraggiosamente di essere diventato cristiano e di non voler abiurare la sua fede.
Sdegnato, per quel rifiuto, l'imperatore ordinò l'immediata confisca dei beni di Giulio e lo fece condurre al Pretorio, per essere processato come nemico dell'impero.
A quel tempo reggeva la Prefettura del Pretorio, con funzione di giudice supremo civile, penale e militare, tale Vitellio, uomo di ferocia inaudita, che aveva condannato a morte già molti Cristiani. La Prefettura del Pretorio si trovava in una sala del tempio dedicato alla dea Tellure
(la grande madre terra), situato tra il Colosseo ed il tempio di Pallade Athena.
Al fondo di quella sala, su di un seggio elevato, sormontato da un'immagine di Commodo, sedeva il Prefetto Vitellio.
Quando Giulio fu condotto al suo cospetto, con disarmante serenità confermò anche a costui quanto detto all'imperatore, rifiutando di partecipare ad un rito sacrificale agli dei Giove ed Ercole. Indispettito, Vitellio decretò che venisse torturato. I carnefici sottoposero Giulio a terribili supplizi, ma egli serenamente li sopportò fino a che spirò. Vitellio, come ulteriore atto di ferocia, ordinò che il corpo di Giulio venisse esposto dinanzi all'anfiteatro, per mostrare quale fosse il destino di quanti
avessero osato ribellarsi all'autorità imperiale e vietò che gli si desse adeguata sepoltura; ma sfidando l'ordine del Prefetto, Pellegrino, Eusebio, Ponziano e Vincenzo, nottetempo, raccolsero le spoglie di Giulio e, dopo averle fatte benedire da Rufino, le seppellirono nel cimitero di Calepodio.
Era il 19 agosto 192.
Quest' atto di cristiana pietà costò, però, l'arresto ai quattro amici.
Anch' essi furono condotti al Pretorio ed interrogati da Vitellio; non negarono di aver dato sepoltura al corpo di Giulio e confessarono di essere cristiani.
Furono inoltre accusati di essersi impadroniti dei beni del senatore, ai quali lo stesso Vitellio spirava, ma che, in realtà, erano stati distribuiti al poveri per espresso volere di Giulio.
Come condanna fu imposto loro di offrire sacrifici all'immagine del "divino" Commodo. Naturalmente i quattro rifiutarono di adorare quale divinità un mortale, sia pur esso imperatore. Vitellio non batté ciglio e li fece sottoporre a torture, che i quattro sopportarono senza emettere un lamento, ma continuando a recitare a voce alta preghiere, sostenuti dalla forza che dà la Grazia.
Il capo del carnefici, Antonio, fu talmente impressionato da tanta tenacia ed abnegazione, che, lasciando cadere gli strumenti di tortura, scappò via gridando di aver visto un angelo detergere e sanare le piaghe di quei Santi giovani;
il giorno successivo andò da Rufino chiedendogli di catechizzarlo e, non molto tempo dopo, ricevette il Battesimo.
L'immagine del turbamento di quell'uomo ormai avvezzo alle peggiori crudeltà sorprese Vitellio a tal punto che ordinò di cessare la tortura e di condurre i prigionieri nelle prigioni Mamertine.
Queste erano scavate nel ventre del colle del Campidoglio ed erano tra i luoghi più tetri e malsani di quelli destinati ad accogliere i detenuti.
Anche lì i Quattro Cristiani continuarono a lodare ed esaltare il Signore, costituendo esempio di fede e di speranza per tanti altri fratelli.
Accaddero, anche in quei pochi giorni, eventi prodigiosi:
Eusebio, al quale era stata strappata la lingua durante le torture, riprese a parlare; una notte, mentre i Quattro erano in preghiera, apparve loro Giulio che li esortava a continuare nella loro opera di conversione.
La notizia di questi episodi soprannaturali si diffuse in tutta Roma e ben presto molti accorsero alle prigioni chiedendo, ai Quattro giovani, intercessioni e preghiere;
molti si convertirono, e tra questi: Lupolo, che era stato sacerdote di Giove Capitolino, e Simplicio, custode del carcere. Intanto Commodo, informato dei prodigiosi eventi e preoccupato per tutto l'interesse che si era acceso intorno a Pellegrino e compagni, convocò i più diretti collaboratori per decidere in merito.
Dapprima tentarono di far rinnegare la fede Cristiana ai Quattro con lusinghe: per riavere la libertà e vivere ricchi e onorati avrebbero dovuto soltanto accendere dell'incenso davanti l'effigie di Commodo ed adorarla.
Di fronte al loro secco rifiuto, Vitellio dispose che il giorno successivo, il 25 Agosto, fossero condotti nell'anfiteatro Flavio, al cospetto dell'imperatore e del Giudice per l'ultimo tentativo di ottenere da essi una pubblica abiura della loro fede. Anche colà, per nulla intimoriti dalla folla
strepiante, Eusebio, Pellegrino, Ponziano e Vincenzo opposero un nuovo rifiuto.
Così Commodo ordinò a Vitellio di dar loro morte a colpi di sferza.
I Quattro furono condotti alla cosiddetta "pietra scellerata" e, denudati fino ai fianchi, vennero legati ad anelli di ferro fissati a quattro basse colonne di pietra; furono, poi, sottoposti ai durissimi colpi di sferza, mentre essi continuavano a pregare.
Intanto, dalla folla si faceva largo un anziano che chiese ed ottenne dall'imperatore di poter assistere spiritualmente i condannati: era il Sacerdote Rufino, che, avvicinatosi ai Quattro, li abbracciò e pregò con loro.
Quando questi spirarono Rufino ne raccolse il sangue in quattro diverse ampolline, poi coadiuvato da altri fedeli portò via i corpi di quei Martiri e diede loro sepoltura nell'arenile tra le vie Aurelia e Trionfale, al VI miglio da Roma. Successivamente una santa Matrona romana di nome Ciriaca fece trasferire i resti di Eusebio, Pellegrino, Ponziano e Vincenzo nel suo cimitero.

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